(Secondo articolo)
Più
di un’alleanza ma meno di un’unione
Di
Carlo Pelanda (2-3-2009)
Il vertice
europeo di Bruxelles ha respinto la proposta ungherese di un piano integrato
d’emergenza per i Paesi orientali disastrati. La Ue troverà soluzioni
caso per caso ai problemi di insolvenza o criticità grave nelle singole
nazioni. Non ci sarà alcun programma paneuropeo di gestione della crisi, ma
solo interventi selettivi ad hoc di aiuto. In effetti la proposta degli europei orientali era
eccessiva, ma la risposta di quelli occidentali, Germania in particolare, non è
stata quella di un’Europa in via di integrazione. Cosa è diventata questa Unione europea?
Non è più una
vera unione, ma un’alleanza. Meglio è dire che la Ue resta più di un’alleanza –
perché ha conferito la sovranità monetaria e quella di bilancio ad una regola
europea comune – ma molto meno di un’unione in quanto non ha formato un governo
unico, o per lo meno integrato, in particolare dell’economia. La configurazione
istituzionale resta a metà
tra modello di Europa della nazioni e confederale, sempre più
orientata verso il primo. Infatti la conduzione della
Ue è “intergovernativa”, cioè condotta da tavoli su cui si accordano i governi
nazionali, e sempre meno guidata dalla Commissione, sovranazionale, ormai
depotenziata a segretariato. Tali considerazioni potrebbero apparire noiose, ma
servono a ricordare che l’architettura politica
europea è molto fragile. Per questo molti analisti
temono che non possa resistere allo stress dato dalla crisi. Altri ritengono
che proprio questo problema convincerà gli europei ad unirsi sul serio,
rafforzando il sistema. La zona euro, 17 Paesi su 27, appare più coordinata e
solida per gli obblighi di stabilità monetaria.
Ma all’euro manca il “capitale politico”, cioè
un governo unico europeo che possa bilanciare le asimmetrie locali generate dalla
politica monetaria unica e aiutare le singole nazioni con la potenza di un
bilancio statale unico europeo. Non solo. Il mantenimento della sovranità
nazionale sui debiti li rende diversi per affidabilità, fatto potenzialmente
dirompente nell’ambito della stessa moneta. Soprattutto, la mancanza di un
governo unico costringe la Bce
ad esercitare una politica monetaria molto restrittiva che mette in difficoltà
i Paesi ad economia debole. Con queste cose generali in testa arriviamo al
punto particolare. Grecia e Portogallo per motivi strutturali di debolezza
economica, L’Irlanda a causa dello sconquasso della crisi, l’Italia economia
forte, ma con debito mostruoso che la indebolisce, fanno
fatica a restare nell’euro. Così la
Spagna, meno indebitata, ma con una economia
devastata dalla recessione. Ma la Polonia, i Paesi
baltici, la stessa Islanda – solo associata indirettamente alla Ue – Ungheria ed altri orientali vorrebbero accelerare
l’entrata nell’euro perché la crisi ha affossato le loro monete facendone
precipitare il cambio in relazione all’euro pur questo non fortissimo. Ma, in relazione a quelle, è immensamente più forte e come tale
scambiato. Il problema è che gli attori di mercato nei Paesi orientali hanno
assunto debiti in euro da ripagare con monete che se restano svalutate li
manderanno in bancarotta. Comprese le banche creditrici, tra cui le più esposte
sono le italiane e le austriache, parecchie anche le
tedesche. L’aggancio all’euro è quindi vitale per i cugini orientali. Ma la Bce
lo vieterà per non indebolire ancor più la moneta. La Germania
non ha intenzione di passare al modello confederale da quello di alleanza per
evitare, in quanto più ricca, di pagare di più per gli altri e di avere meno
per i tedeschi. Per questo, in sostanza, si è preferito attivare aiuti
selettivi per i Paesi inguaiati piuttosto che cambiare architettura europea.
Potrà reggere tale scelta? Forse sì perché nessuno ha
intenzione di sciogliere l’Europa. Inoltre la Germania
deve finanziare la stabilità ad oriente per non pagarne il prezzo in casa.
Qualcosa darà. Ma gli interventi ad hoc costeranno
un’enormità, saranno poco efficaci e lasceranno amarezze (geo)politiche
disintegratrici. Mi chiedo che senso abbia. Ma la
risposta è che gli elettori, particolarmente in Francia e Germania, se ne
infischiano dell’Europa e sentono solo l’interesse nazional-protezionista.
Pertanto l’idea
che gli Stati principali facciano il grande passo di unire sul serio il
continente, dandogli un governo unico ed una moneta più amichevole è puro
irrealismo. Per questo dobbiamo accontentarci dell’Europa così come è. Ma così come è, alla fine,
si dissolverà.
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